Il primo contatto concreto tra giapponesi e occidentali risale al periodo Momoyama (1568-1615), quando i nanban (letteralmente “barbari del sud”, termine utilizzato per identificare gli europei dal 1543) iniziarono a influenzare l'arte e la cultura giapponese. Il Giappone è infatti noto per il suo isolamento storico e, parlando dell'era pre-globalizzazione, possiamo generalmente distinguere solo due momenti in cui la cultura giapponese entrò in contatto con quella occidentale: durante il cosiddetto "secolo cristiano" (1549-1622), mentre i missionari gesuiti iniziarono a importare opere d'arte e testi occidentali; e dopo il periodo Edo (1603-1868), durante il quale la dinastia Tokugawa (Fig. 1), attraverso il bakufu (governo militare) e il sakoku (politica estera isolazionista), limitò gli scambi tra il Giappone e gli altri paesi.

Un cambiamento significativo avvenne con la Restaurazione Meiji (1912-1926) quando, grazie al grande sviluppo commerciale, il Giappone iniziò a promuovere la propria cultura partecipando alle esposizioni universali. Il risultato fu proficuo e, mentre i giapponesi si interessarono all'Art Nouveau, gli europei rimasero affascinati dalle vivaci composizioni dell’ukiyo-e (lett. "Immagini del mondo fluttuante").
Nato durante il periodo Edo, dopo la fine della guerra civile, il movimento ukiyo-e fu la risposta creativa all'oppressione del governo Tokugawa. L'origine del nome risale alla filosofia buddista, in cui il concetto di ukiyo promuove la liberazione dai “beni materiali”. A tal proposito, è interessante notare come gli artisti giapponesi avessero al contrario scelto di usare questo termine per celebrare beni e vizzi. Il periodo Tokugawa portò al Giappone 250 anni di stabilità, ma le politiche dittatoriali causarono molti scontenti e privarono di lavoro e ideali numerose dinastie di samurai. Questi, senza un padrone per cui combattere, si ritrovarono improvvisamente a trascorrere il proprio tempo nelle cosiddette "case verdi": luoghi di ritrovo dove gli uomini erano soliti dedicarsi ai piaceri terreni.

Inizialmente influenzati dalla pittura classica cinese, gli artisti giapponesi elaborarono un linguaggio artistico autoctono. La volontà di celebrare piaceri effimeri circoscrisse i soggetti dell'ukiyo-e, generalmente suddivisi in sei macro-temi: Bijin-ga, immagini di beltà femminili (Fig. 2); Yakusha-e, ritratti di attori famosi; Kachô-ga, composizioni di fiori, uccelli e insetti; Paesaggi, genere universalmente noto grazie alla “Grande Onda” di Hokusai; Tradizione, scene ed eventi legati alla letteratura e alla mitologia nipponica; Shunga, arte erotica. Determinati a respingere la malinconia causata dalla situazione politica, i maestri giapponesi decisero così di "fluttuare" attraverso i piaceri.
L'arte ukiyo-e è di fatto il frutto di una situazione che cambia, una risposta provocatoria alle restrizioni dittatoriali. Questo approccio riscosse grande successo nel Vecchio Continente, interessando in particolare tutti quegli artisti che, dall’altra parte del mondo, decisero allo stesso modo di contrapporsi ai dettami accademici: impressionisti e post-impressionisti. La nascita del Giapponismo, inteso come influenza esercitata dalla cultura nipponica sull’arte e la società occidentale, è solitamente fatta risalire a una scoperta fortuita. Nel 1856, infatti, l'artista Félix Braquemond trovò, nello studio del suo stampatore Auguste Delâtre, alcune carte dei Manga (bozzetti) di Hokusai utilizzate per incartare la porcellana. L'incisore francese, che tra le altre cose partecipò alla prima mostra impressionista (1974), ne fu subito entusiasta e iniziò a promuovere l'arte del Sol Levante tra amici e colleghi. Fu l'inizio di un nuovo atteggiamento, denominato Japonisme dal critico francese Philippe Burty (1830-1890).

Motivati dal desiderio di proporre un nuovo tipo di arte libero da imposizioni accademiche, impressionisti e postimpressionisti vennero sedotti dalla cultura esotica. In questo modo, maestri come Claude Monet e Vincent Van Gogh ebbero l’opportunità di lasciarsi ispirare dagli armoniosi paesaggi creati da Katsushika Hokusai e Utagawa Hiroshige. In pochi anni, il Giapponismo conquistò l'Europa e, contaminandone usi e costumi, influenzò il linguaggio e l’iconografia dei maggiori interpreti del periodo. La Japonaise (Fig. 3) dipinta da Monet nel 1876, per esempio, documenta l'atmosfera dell’epoca e il successo dal kimono tra le donne parigine. L'opera consente inoltre di comprendere quanto i maestri giapponesi fossero apprezzati dal padre dell'Impressionismo che, oltre a celebrarne la cultura, scelse anche di riprodurre iconiche composizioni ukiyo-e sui ventagli posti in secondo piano. Il Giappone aveva ormai pervaso l'Europa e diversi artisti trovarono nella sua estetica i mezzi per contrapporsi all'accademismo occidentale.