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Progettare, riqualificare ed evolvere. Un'intervista a Monograff.


Monograff, SK008, Firenze, 2022.

Come è avvenuto il tuo incontro con l'arte?


Sono nato e cresciuto a Firenze, in questa città puoi osservare ovunque opere d’arte. Ricordo però con molto piacere quando a 5 anni i miei mi regalarono un libro fotografico su Giotto e la Cappella degli Scrovegni; credo di aver consumato le pagine di quel libro osservando ogni singolo affresco rappresentato. Un altro momento significativo è stato conoscere Silvano Campeggi, in arte Nano, che mi ha trasmesso la sua passione per la pittura attraverso aneddoti e chiacchierate insieme.


Da dove credi derivi il tuo desiderio di creare?


Penso spesso a trovare una risposta a questa domanda… e alla fine sono giunto alla conclusione, non definitiva, che non c’è una sola risposta giusta. Molto dipende dal periodo che sto vivendo sia a livello personale sia collettivo. Ultimamente ho desiderio di realizzare opere per sentirmi bene banalmente, perché nella gestualità di certe opere riesco a trasmettere quello che sento dentro me stesso. Il dipingere è, certamente, un modo per trasmetterlo ad altre persone ma in primis un mezzo per riuscire a tirare fuori quello che sento e quello che vorrei sentire.


Persegui un iter creativo ad "ampio spettro"? Qual è il legame tra le tue opere?


Non sono molto matematico nel seguire una ricerca impostata e precisa. Vado a periodi e spesso salto da uno stile ad un altro che apparentemente non ha legami col primo, nel tempo però ho notato che cose abbandonate precedentemente ritornano e acquisiscono nuove forme legate alla mia evoluzione. Quindi non c’è quasi mai un abbandono di una parte della ricerca, lascio semplicemente maturare le cose senza forzare nulla.


Ho un rapporto con le opere particolare, spesso mi piacciono per i primi 5 giorni poi comincio già a pensare che potevano essere fatte diversamente. Paradossalmente poi invece dopo mesi se riosservo qualcosa di “vecchio” lo apprezzo di più, forse perché finalmente ne vedo il percorso, capisco che mi ha portato a creare altre cose successive e che ogni creazione fa parte del viaggio.



Monograff, SK007, Firenze, 2022.


Ritieni sia importante far proprio un linguaggio profondamente caratterizzante, al fine di divenire iconico e facilmente riconoscibile?


Credo che sicuramente possa aiutare a raggiungere una riconoscibilità in tempi più brevi, e spesso può essere importante ai fini lavorativi dell’artista ma non per la sua ricerca. Ci sono decine di esempi di artisti che si sono fossilizzati perché sanno che quel determinato stile li porta a riscuotere maggior successo; e questo non credo sia positivo. L’opera e l’operato dell’artista perdono valore, magari non economico, ma sicuramente in altri aspetti meno concreti. Basti pensare che ormai vediamo i soliti ritratti con le strisce sul volto in ogni città. Per me hanno assunto lo stesso identico valore di aprire uno Starbucks o un Hard Rock: ogni città ne deve avere almeno uno perché vanno di moda. Il risultato è la completa banalità dell’opera e l’omogeneizzazione del tessuto urbano.

L’altra faccia della medaglia vede molti artisti che, pur avendo uno stile riconoscibilissimo e ben radicato, non smettono mai di ricercare e si evolvono di continuo.


Vedi un futuro sociale e pubblico per la street art? Cosa ne pensi della riqualificazione attraverso opere murali?


Sicuramente il muralismo ha delle potenzialità enormi. Sempre più spesso mal sfruttate, messe al servizio di qualcosa con cui non dovrebbe, per me, interagire… parlo ad esempio dell’incontro tra pitture murali e la pubblicità. Anche la street art spesso prende una piega troppo commerciale per i miei gusti, si accostano simboli e cliché perché hanno un riscontro a suon di like sui social e ti fanno diventare famoso. Non è raro ormai assistere a un vero e proprio sciacallaggio sulle notizie che arrivano quotidianamente: non appena muore il personaggio famoso spuntano come funghi poster banalotti che lo ritraggono con vari simboli, che sistematicamente finiscono sui telegiornali. Qui ripeto che ci sono due facce della stessa medaglia.


Ritornando alle potenzialità sociali e di riqualificazione del muralismo, invece, credo che ci siano sicuramente, ma che non sia facile metterle in pratica senza che rimanga solo un lavoro puramente decorativo. Dietro l’atto decorativo dovrebbe essere sviluppato un progetto più ampio e che veramente possa riqualificare un’area o un quartiere non solo architettonicamente ma soprattutto socialmente. Anche perché molti interventi hanno spesso un effetto contrario: risultano essere una causa della gentrificazione di una zona, comportandosi esattamente all’opposto del proprio scopo.


Credi che l'arte abbia ancora un compito rilevante nell’ "educare" il pubblico e nel divenire mezzo espressivo preferenziale per comunicare ideali e iniziative socio-politiche?


Credo abbia sicuramente questo compito e che se portato a compimento con la giusta attenzione possa avere un ruolo rilevante.

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